Carrucola e fuoristrada: come sfruttare le forze in maniera intelligente
Prima o poi, per un motivo o per un altro, capiterà a chiunque si cimenti nel fuoristrada di rimanere bloccato nel percorrere un certo tratto di terreno e di dover ricorrere ad ausili esterni per riuscire a tirar fuori dall’impiccio il proprio veicolo.
In questi casi, oltre ad armarsi di pazienza, è bene procedere con prudenza e, soprattutto, usare la testa.
Nel momento in cui si deve recuperare un veicolo impossibilitato a muoversi, le forze richieste possono essere elevate e difficili da applicare, pertanto occorre sfruttare al meglio le forze disponibili.
La carrucola è uno dei mezzi che possiamo utilizzare per assolvere tale scopo. Essa non è altro che un dispositivo costituito da un disco che ruota attorno ad un perno. Sulla circonferenza esterna del disco è presente una gola che ospita un flessibile. Gli organi flessibili utilizzati nelle applicazioni meccaniche rientrano principalmente in tre categorie: funi, catene, cinghie (in questo articolo faremo riferimento solo a funi).
In un’operazione di recupero, le carrucole possono essere utilizzate fondamentalmente per due motivi:
- variare a proprio piacimento la direzione della forza di tiro (fig. 1);
- ridurre l’entità della forza di tiro da applicare.

Fig. 1 – Assicurando una carrucola ad un punto fisso (come ad esempio un albero) possiamo realizzare tiri angolati molto utili in caso di spazi di manovra angusti o obbligati.
Ma quali sono i principi che regolano il funzionamento di una carrucola?
In molte spiegazioni meccaniche spesso si inizia con la frase “Ipotizziamo di trascurare le perdite bla bla bla …”: personalmente, per capire meglio l’argomento, preferisco partire prima dalla situazione generale e poi passare ai casi particolari. Quindi inizierò col parlare del sistema carrucola comprensivo di dissipazioni energetiche.
Come tutti i sistemi meccanici reali, anche la carrucola presenta perdite meccaniche: ciò vuol dire che l’energia sviluppata risulta sempre inferiore a quella introdotta. Nel caso specifico abbiamo due fonti di perdite: l’attrito sul perno della puleggia e le resistenze interne al flessibile.
L’attrito sul perno della puleggia dà luogo ad una coppia resistente stimabile, con buona approssimazione, con la seguente relazione
in cui f è il coefficiente di attrito, R è la forza a cui è soggetto il perno e rperno è il raggio del perno.
Le resistenze interne al flessibile, invece, si generano all’atto della deformazione del flessibile stesso e danno luogo ad una perdita di energia sia in fase di piegatura, sia in fase di raddrizzamento. In poche parole, non tutta la forza che impieghiamo per deformare un flessibile va a curvare il flessibile: in parte essa viene utilizzata per vincere le resistenze interne.
Per capire meglio il discorso andiamo per gradi e partiamo dal caso ideale, cioè senza attriti e resistenze (fig. 2).

Fig. 2 – Carrucola nel caso ideale (senza perdite meccaniche).
Chiamiamo r il raggio della carrucola, P la forza di tiro, Q la forza resistente del carico e R la forza agente sul perno della carrucola. In condizione di regime, cioè con tiro a velocità costante, la coppia motrice e la coppia resistente devono essere uguali, pertanto P e Q sono uguali.
Ora aggiungiamo le resistenze passive dovute al flessibile.
Mentre nel caso ideale i due rami della fune erano paralleli ed equidistanti r dal centro del perno, nel caso reale il flessibile si oppone al piegamento sia sul ramo di avvolgimento che su quello di svolgimento, quindi la situazione è come quella illustrata in fig. 3.

Fig. 3 – Carrucola con perdite sul flessibile. Mm è la coppia motrice sviluppata grazie alla forza P, mentre Mr è la coppia resistente del carico Q.
Ciò comporta che il braccio rP a disposizione della forza di tiro P è inferiore al braccio rQ a disposizione della forza resistente Q. Dato che, a regime, la coppia motrice e quella resistente devono comunque risultare uguali, necessariamente la forza P da applicare deve essere maggiore della forza Q da vincere a causa della differenza tra i bracci di azione (proprio come evidenziato dalle relazioni di fig. 3).
In maniera equivalente, possiamo riportare lo stesso effetto nello schema ideale di fig. 2, immaginando che il carico Q sia maggiorato di un certo contributo XQ e che la forza di tiro P sia penalizzata di un certo contributo XP (vedere fig. 4).

Fig. 4 – Carrucola con perdite sul flessibile. In questo schema si simulano le perdite sul flessibile aggiungendo carico alla forza resistente Q e sottraendo forza disponibile a P. Unendo le relazioni trovate con quelle di fig. 3 si ottengono le espressioni delle forze resistenti in funzione dei raggi di avvolgimento e svolgimento del flessibile.
Abbiamo visto separatamente l’effetto dissipativo del perno e quello del flessibile: ora non ci resta che metterli insieme.
Facciamo il bilancio dei momenti rispetto al centro del perno:
Cm: momento motore (dato dalla forza di tiro P);
Cr: momento resistente (dato dal carico Q);
Cr,fune: momento dovuto alle resistenze nel flessibile;
Cr,perno: momento dovuto all’attrito nel perno.
Svolgendo qualche semplice passaggio matematico si arriva alla seguente relazione:
Possiamo quindi scrivere:
In genere, buone approssimazioni per il valore di k sono le seguenti:
- k = 1,04 (per funi metalliche);
- k = da 1,045 a 1,09 (per funi vegetali dai piccoli ai grandi diametri).
Il coefficiente k è maggiore dell’unità, quindi, come avevamo anticipato, la forza di tiro P da applicare è maggiore del carico Q a causa della presenza di forze dissipative.
Dopo aver fatto una panoramica sul funzionamento di una singola carrucola, andiamo a vedere come poter sfruttare combinazioni di più carrucole a nostro vantaggio. Finora abbiamo considerato il caso di una carrucola fissa, cioè con il supporto del perno assicurato ad un punto fisso. Proviamo invece a considerare il caso di una carrucola mobile, in cui il punto fisso è un’estremità del cavo, mentre il carico resistente è agganciato al supporto del perno (proprio come in fig. 5).

Fig. 5 – Carrucola mobile ideale.
Nel caso di carrucola mobile ideale abbiamo che alla forza resistente Q si oppongono sia la forza di tiro P, sia la forza di reazione R dell’estremità del cavo attaccata al punto fisso, pertanto il risultato, nel caso ideale, sarà il seguente:
La forza di tiro necessaria a muovere il carico Q risulta dimezzata rispetto al caso di carrucola fissa. Non solo, se andiamo a considerare le perdite meccaniche, notiamo che anche il rendimento del sistema migliora. Infatti, ricavando i rendimenti relativi alla carrucola fissa e a quella mobile otteniamo:
Ad esempio, per k = 1,04 avremmo che ηfissa = 0,96 e ηmob = 0,98, quindi, a parità di condizioni, il rendimento della carrucola mobile è superiore rispetto a quello della fissa.
Dopo queste divagazioni matematiche, vediamo qualche esempio pratico.
Ipotizziamo che il nostro veicolo, dotato di verricello frontale, sia rimasto bloccato in una pozza di fango e che vogliamo utilizzare il verricello per tirarlo fuori. Mediante i materiali che abbiamo provveduto a portare con noi (cinghie, grilli, funi, ecc.), sfruttiamo un albero per fissare l’estremità libera del cavo del verricello ed iniziamo la manovra di tiro (fig. 6). Nel caso ideale, lo sforzo a cui verrà sottoposto il verricello sarà semplicemente pari alla forza necessaria a muovere il veicolo. Tale forza, indicata con Q, è la somma della resistenza dovuta all’eventuale pendenza e della resistenza di rotolamento (in cui facciamo confluire tutte le altre forze dovute all’interazione con il terreno che si oppongono al moto del veicolo).

Fig. 6 – Veicolo in una manovra di tiro diretto su punto di ancoraggio fisso.
Ora, invece, assicuriamo una carrucola all’albero, ci facciamo passare il cavo del verricello ed agganciamo l’estremità dello stesso al nostro veicolo (fig. 7).

Fig. 7 – Tiro di recupero con verricello e carrucola.
In questo caso, come illustrato in fig. 7, notiamo che lo sforzo a cui è sottoposto il verricello si è dimezzato. Grazie alla carrucola, per tirar fuori il nostro mezzo abbiamo bisogno di metà della forza necessaria a muoverlo in condizioni di tiro diretto. L’unico inconveniente è che in tal modo abbiamo dimezzato anche la velocità di spostamento del veicolo, ma, se non abbiamo fretta, questo è sicuramente un fattore secondario.
Ma perché la velocità di recupero è diventata la metà?
Semplice, basta notare che per muovere il veicolo fino alla carrucola, il verricello deve avvolgere due rami di cavo, ciascuno di lunghezza pari alla distanza da percorrere.
Facciamo un ulteriore esperimento. Proviamo a mettere una carrucola anche sul veicolo, ci facciamo passare il cavo ed andiamo ad assicurarlo ad un altro albero (come in fig. 8). Con qualche semplice considerazione sull’equilibrio delle forze, scopriamo che ora lo sforzo che dovrà esercitare il verricello è diventato un terzo di quello iniziale con il tiro diretto.
Per quanto detto sopra, anche la velocità di spostamento del veicolo è diventata un terzo della velocità di avvolgimento del cavo.

Fig. 8 – Tiro con verricello e due carrucole. In questo caso lo sforzo esercitato dal verricello è un terzo rispetto al caso del tiro diretto.
Le stesse considerazioni valgono nel caso in cui dovessimo muovere un veicolo mediante un ausilio esterno, sia esso un secondo veicolo, un verricello esterno o un argano manuale.
Come possiamo vedere, le possibilità di utilizzo delle carrucole sono molteplici. Addirittura potremmo muovere in retromarcia un veicolo con verricello frontale seguendo lo schema di fig. 9. Il materiale necessario consta di quattro carrucole ed un numero sufficiente di punti di attacco nelle vicinanze.

Fig. 9 – Sistema di carrucole per realizzare un tiro inverso. Come si può notare, su tutti i rami del cavo (nel caso ideale) agisce la stessa forza. Per tale ragione, sul veicolo agiscono la forza P che tende a portarlo in avanti e la forza della carrucola posteriore, data dalla somma P+P, che tende a portarlo indietro. Il risultato è che il veicolo sarà tirato indietro con uno sforzo del verricello pari a quello che si avrebbe in un semplice tiro diretto (come quello in fig. 6).
In una situazione del genere, sul veicolo agiscono la forza P esercitata in corrispondenza del verricello e la forza 2∙P esercitata dalla carrucola posteriore del veicolo. Dato che le due forze hanno versi opposti, la risultante è una forza P che tira il veicolo in retromarcia. Di conseguenza, nel caso ideale, pur con la presenza di una carrucola mobile, lo sforzo P esercitato dal verricello sarà pari alla resistenza al movimento Q opposta dal veicolo.
E cosa possiamo dire invece sugli spostamenti?
Il veicolo procederà a marcia indietro ad una velocità pari alla velocità di avvolgimento del verricello. Tale risultato può essere apprezzato più chiaramente osservando la fig. 10 (il sistema è equivalente a quello della figura precedente, con la differenza che ho allineato i rami di fune per renderlo più comprensibile).

Fig. 10 – Spostamenti nel sistema di carrucole per un tiro inverso.
Lo schema mostra che facendo indietreggiare il veicolo della distanza AB, si verifica un accorciamento di entrambi i rami della puleggia fissata sul posteriore del veicolo, per un totale di 2AB. Con il solo indietreggiare il veicolo recupera però un tratto AB di cavo. Questo significa che per uno spostamento a marcia indietro di valore AB, il verricello dovrà recuperare una lunghezza di cavo pari ad AB.
Naturalmente, l’ultimo visto è un esempio particolare che, seppur funzionante, ho utilizzato principalmente come caso di studio per mostrare le potenzialità d’impiego delle carrucole nel fuoristrada. Sul campo, infatti, si opta solitamente per sistemi di recupero più semplici e speditivi.
Bibliografia
G. Scotto Lavina, Lezioni di meccanica applicata alle macchine, Roma, Ed. Siderea 1990.
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