Il differenziale ordinario: le basi di funzionamento.
Il differenziale è uno di quegli organi meccanici che hanno sempre suscitato un certo fascino sugli appassionati di autoveicoli. L’interesse verso questo componente fondamentale, anche se, tutto sommato, semplice, si avverte ancora di più in ambito off-road.
Ma cos’è il differenziale? A cosa serve? E, soprattutto, come funziona?
Se volessimo dare una definizione di differenziale potremmo dire che esso è un particolare rotismo epicicloidale che consente il trasferimento del moto da un albero motore a due alberi condotti facendo in modo che:
- ciascun albero condotto sia libero di ruotare ad una velocità diversa da quella dell’altro;
- il rapporto tra le coppie trasmesse ai due alberi condotti sia costante.
Queste due condizioni sono di fondamentale importanza ed è bene tenerle a mente perché rappresentano l’essenza stessa del differenziale e il suo motivo di esistere.
Ma perché vengono adottati i differenziali? Osserviamo la fig. 1 che schematizza la vista dall’alto di un veicolo in fase di sterzatura.

Fig. 1 – In fase di sterzatura ogni ruota ha una sua traiettoria e quindi una velocità angolare diversa da quelle delle altre. Il differenziale posto su un asse permette alle ruote destra e sinistra di girare a velocità diverse e lo stesso fa il differenziale centrale tra l’avantreno ed il retrotreno dei veicoli a trazione integrale.
Come possiamo notare, la traiettoria di ciascuna ruota ha un raggio diverso da quelli di tutte le altre e ciò vuol dire inevitabilmente che tutte le ruote hanno velocità angolari diverse tra loro perché percorrono distanze differenti durante la sterzata. Se le ruote di un asse fossero connesse tra loro rigidamente ci sarebbero continui slittamenti con tutte le conseguenze del caso (consumo eccessivo del battistrada, perdita di aderenza e di direzionalità, ecc.). Per questa ragione è stato introdotto il differenziale ed è per questo motivo che un veicolo può essere dotato di uno o più differenziali a seconda del numero di assi traenti. Ad esempio, una vettura a trazione anteriore o posteriore avrà un solo differenziale che ripartirà la coppia in maniera uguale alle due ruote motrici. Un veicolo con trazione integrale permanente avrà invece tre differenziali:

- uno sull’asse anteriore e uno sull’asse posteriore per ripartire la coppia in parti uguali tra le ruote di uno stesso assale;
- uno tra i due assi, detto anche ripartitore, che distribuisce la coppia tra avantreno e retrotreno (in questo caso, non è detto che la ripartizione sia fatta in parti uguali).
Per capire come funziona un differenziale è d’uopo parlare innanzitutto della categoria di meccanismi di cui esso fa parte: quella dei rotismi epicicloidali.
Un rotismo epicicloidale è un meccanismo costituito da un gruppo di ruote dentate disposte in modo da suddividere il moto fra tre alberi. Esso differisce da un rotismo ordinario per il fatto che in quest’ultimo tutte le ruote dentate hanno un’intelaiatura fissa, mentre in un rotismo epicicloidale ci sono ruote dentate con intelaiatura rotante.
Fondamentalmente, il classico rotismo epicicloidale si compone di tre membri (fig. 2):
- una ruota dentata con dentatura esterna, detta pignone;
- una ruota dentata con dentatura interna, detta corona;
- una struttura, detta portatreno, che funge da telaio per i perni di due o più ruote dentate, dette satelliti, interposte tra pignone e corona.

Fig. 2 – Schema di un rotismo epicicloidale.
A seconda di come vengono utilizzati i tre membri, un rotismo epicicloidale può assumere tre diverse modalità di funzionamento:
- riduttore, nel caso in cui venga bloccato uno qualunque dei tre elementi del rotismo;
- variatore di velocità, nel caso in cui ci siano due elementi motori ed uno resistente;
- differenziale, nel caso in cui ci sia un solo elemento motore e due resistenti.
Un perfetto esempio di rotismo epicicloidale in modalità riduttore lo troviamo nei mozzi ruota dei veicoli pesanti. In tale applicazione il rotismo funge da riduzione finale della trasmissione e solitamente trasmette il moto dal pignone (collegato al semiasse del veicolo) al portatreno (fissato al cerchione), mentre il membro fisso è la corona.
Un esempio di rotismo epicicloidale con funzione di variatore di velocità è, invece, il cambio automatico della Toyota Prius, il quale sfrutta il motore elettrico dell’auto per muovere il portatreno consentendo, in tal modo, di variare in modo continuo il rapporto di trasmissione tra il motore termico e le ruote (https://www.youtube.com/watch?v=Zpfs2LPAa6Y).
La terza modalità di funzionamento di un rotismo epicicloidale è infine quella da differenziale, che è l’argomento di quest’articolo. Pertanto, per capirne il funzionamento, partiamo dalle relazioni che governano il moto di un rotismo epicicloidale classico.
Innanzitutto, definiamo cosa si intende per rapporto di trasmissione caratteristico di un rotismo epicicloidale. Per far ciò, blocchiamo il portatreno e mettiamo in rotazione il pignone: in questa condizione il meccanismo diventa un rotismo ordinario. Osservando la fig. 3, dette vp e vc le velocità periferiche rispettivamente di pignone e corona, possiamo scrivere che:
e quindi
dove ω e r sono la velocità angolare ed il raggio primitivo.

Fig. 3 – Rotismo epicicloidale con portatreno bloccato.
Sapendo che il rapporto di trasmissione è il rapporto tra le velocità angolari di corona e pignone e tenendo conto della (2), possiamo scrivere che il rapporto di trasmissione caratteristico è pari a
Poiché Zp e Zc sono il numero di denti rispettivamente di pignone e corona, il rapporto di trasmissione caratteristico di un rotismo epicicloidale è definito per costruzione ed è una costante del meccanismo.
Ora lasciamo liberi tutti i membri del rotismo ed applichiamo la nota formula di Willis per ottenere i rapporti tra le velocità angolari:
dove
ωc : velocità angolare della corona;
ωp : velocità angolare del pignone;
ωpt : velocità angolare del portatreno.
Con qualche semplice passaggio matematico possiamo esplicitare un po’ meglio la relazione (4):
L’equazione (5) ci dice che, note le velocità angolari di due membri del rotismo, possiamo ricavare la velocità del terzo. Qualora, però, sia noto il moto di un solo membro, ci saranno infinite coppie di valori degli altri due membri che soddisferanno l’equazione: quest’ultimo è proprio il caso del differenziale.
Nel caso in cui si tratti di un differenziale posto su uno degli assi di un veicolo, il pignone e la corona sono le due ruote dentate coniche calettate su ciascun semiasse e prendono il nome generico di planetari, mentre il portatreno è la scatola del differenziale che riceve il moto dall’albero di trasmissione (fig. 4).

Fig. 4 – Differenziale di un assale anteriore di un veicolo pesante.
Dato che i due planetari (uno per la ruota destra ed uno per la sinistra) hanno un ugual numero di denti, per la relazione (3) il rapporto di trasmissione caratteristico del rotismo è pari a -1. Sostituendo questo valore nella (5) otteniamo la legge che lega le velocità dei membri di un differenziale ordinario:
dove ω1 e ω2 sono le velocità angolari dei semiassi.
Quindi, se fissiamo la velocità dell’albero di trasmissione in ingresso al differenziale (ωpt), le velocità dei semiassi saranno tutte possibili tra 0 e 2ωpt.
Ecco il motivo per il quale il differenziale consente alle ruote a cui è collegato di girare a velocità differenti.
Passiamo ora ad analizzare come viene distribuita la coppia in un differenziale ordinario nel suo funzionamento a regime. Per far ciò abbiamo bisogno di tre equazioni:
- l’equazione di equilibrio alla rotazione (bilancio delle coppie)
Cin : coppia in ingresso al differenziale;
C1 : coppia diretta all’albero 1;
C2 : coppia diretta all’albero 2;
- la formula di Willis (espressione (6))
- l’equazione di conservazione della potenza
Pattriti : potenza persa a causa degli attriti interni.
Risolvendo il sistema formato dalle equazioni (7), (8) e (9) otteniamo le espressioni delle coppie inviate ai due semiassi:
Possiamo poi esprimere la potenza persa in attriti sottoforma di una coppia d’attrito moltiplicata per la differenza di velocità dei due semiassi
La potenza persa deve essere sempre positiva o al massimo nulla (nel caso ideale di assenza di perdite).
Sostituendo la (12) in (10) e (11) si ottengono i seguenti casi:
- se ω1 > ω2
- se ω1 < ω2
Ho cercato di ridurre al minimo indispensabile le formule per non tediare coloro che vorrebbero arrivare subito al nocciolo pratico della questione, ma vi assicuro che è stato necessario per dimostrare e capire il funzionamento del differenziale.
Le formule dalla (13) alla (16) ci consentono di fare alcune affermazioni e sfatare alcuni falsi miti.
- Innanzitutto, la ripartizione di coppia di un differenziale ordinario è sempre la stessa: nel caso delle due ruote di un assale, la coppia motrice di una sarà sempre uguale a quella dell’altra, qualunque siano le loro velocità angolari. L’unica differenza è data dal contributo della coppia dovuta agli attriti interni (Cattriti ) che comunque è piuttosto ridotto.
- Il semiasse che riceve una coppia maggiorata del contributo degli attriti è quello che gira più lentamente.
- Quando siamo impossibilitati a muoverci perché abbiamo una ruota su suolo con scarsa aderenza e l’altra ovviamente immobile, la differenza tra le due ruote non sta nella coppia, ma nella potenza. La ruota senza aderenza avrà quasi tutta la potenza in arrivo dal motore e all’altra non resterà quasi nulla.
Quindi, cosa succede quando la ruota di un asse dotato di differenziale ordinario non ha più aderenza? Per quanto detto in precedenza, la coppia motrice inviata ai semiassi sarà ripartita sempre nello stesso rapporto, la ruota senza aderenza avrà un surplus di coppia che non riuscirà a scaricare a terra, ma impiegherà per aumentare la sua velocità di rotazione. Abbiamo visto che, data la velocità angolare dell’albero di trasmissione, all’aumentare della velocità di un semiasse l’altra dovrà necessariamente diminuire fino al punto limite in cui avremo un semiasse fermo e l’altro che girerà ad una velocità doppia rispetto a quella dell’albero di trasmissione. In tutto questo, la ripartizione della coppia motrice resterà sempre uguale e, in particolare, la coppia disponibile su ciascuna ruota sarà pari alla coppia utilizzabile dalla ruota con ridotta aderenza (a meno della coppia dovuta agli attriti interni del differenziale che comunque è abbastanza piccola).
Tutto quanto visto sopra avviene con un differenziale ordinario aperto. Diverso è il caso dei differenziali a bloccaggio automatico o manuale, ma tale argomento sarà trattato in altri articoli.
Grande Manuel!!! Bel lavoro e ben fatto! Di una chiarezza espositiva che sarebbe stata utile 15 anni fa (prima di iniziare il corso di laurea)!
Grazie Gigi. Sono contento che ti sia piaciuto.
Grande Manuel! Guarda questo… di qualche anno fa, ma immediato, pratico e per alcuni versi illuminante: https://youtu.be/yYAw79386WI
Magnifico! Le cose un po’ datate sono spesso le migliori. Grazie del link!
Bell’ articolo! Chiarezza espositiva, lucidità analitica e ottima sintesi delle caratteristiche del meccanismo. Complimenti!
Articolo molto bello e chiaro eccetto per un passaggio fontamentale, ovvero quello dal rotismo epicicloidale al differenziale reale, che è poi un po’ lo stesso problema di tutte le spiegazioni che si trovano in rete.
In pratica mentre il moto del rotismo epicicloidale si riesce “facilmente” ad immaginare quello del differenziale no, e il disegno in sezione inserito nell’articolo non aiuta a capire il moto dell’albero dei due satelliti. Io personalmente sono riuscito a capire come si muovono effettivamente tutte le parti del differenziale solo dopo aver visto questa foto:
https://www.quattroruote.it/guide/componenti-auto/Differenziale.html
In pratica il mio problema è stato riuscire a “vedere” che l’albero su cui sono montati i due satelliti può ruotare attorno all’asse delle ruote con velocità diversa dalle ruote stesse. Vedendo quella foto sono riuscito ad immaginare cosa succede bloccando una delle due ruote e provando a ruotare l’altra, mentre prima non riuscivo proprio a capire come le due ruote potessero ruotare con velocità differenti essendo il pianeta destro uguale al sinistro e il satellite inferiore uguale al superiore.
Articolo che arriva direttamente al sodo senza giri di parole. Complimenti!
Grazie!