Curiosità aerodinamiche: aspirapolveri da auto!
Quest’oggi vorrei parlarvi di una piccola curiosità aerodinamica.
Si sa che l’aerodinamica è una scienza complessa, ma affascinante e, a certi livelli, anche un po’ mistica, nel senso che non smette mai di stupirci. Soprattutto nel campo delle vetture ad elevatissime prestazioni, essa è ciò che davvero fa la differenza tra un’auto discreta ed una eccezionale.
Fondamentalmente sui veicoli terrestri gli scopi dei vari espedienti aerodinamici sono due: ridurre il coefficiente di attrito aerodinamico (il cosiddetto Cx) ed aumentare la deportanza (cioè la forza che schiaccia a terra la vettura per accrescerne l’aderenza).
Spesso queste due prestazioni sono antitetiche, nel senso che aggiungere profili alari per aumentare la downforce dà luogo ad un aumento della resistenza aerodinamica. È per questo motivo che quando si iniziò a parlare di “effetto suolo” ci fu una vera svolta. L’idea era quella di ridurre la pressione dell’aria nella zona compresa tra il fondo della vettura e la superficie del terreno. In tal modo la pressione dell’aria insistente sopra l’auto era superiore a quella del sottoscocca: il risultato era una spinta verso il basso, quindi un aumento di deportanza, senza adozione di superfici alari.
Facendola breve, l’effetto suolo può essere ottenuto adottando un fondo vettura piatto e riducendo la luce tra esso ed il suolo per costringere l’aria ad aumentare la velocità e quindi ridurre la pressione.
Ma arriviamo al dunque. Forse non tutti sanno che, tra le varie trovate ingegneristiche volte ad esasperare tale effetto, c’è stata anche l’applicazione di veri e propri aspiratori destinati a creare depressione nel sottoscocca e quindi maggiore deportanza.
Il primo esempio di un dispositivo del genere lo troviamo nel 1970 nella Chaparral 2J (fig. 1).

Fig. 1 – Chaparral 2J (dal sito autoweek.com).
Il retrotreno di questa particolare vettura sfoggiava due ventoloni azionati da un motore ausiliario a 2 tempi da 45 CV. Tali ventole aspiravano l’aria dal fondo della vettura incrementando notevolmente la downforce e quindi la capacità dell’auto di tenere la strada.
Per vedere la Chaparral 2J in azione clicca qui e nota come si abbassa la vettura nel momento in cui vengono attivate le ventole!
Qualche anno più tardi, nel 1978, l’idea fu rispolverata dalla famosa Brabham BT46B (fig. 2), vettura da F1 caratterizzata da una vistosa ventola sotto l’alettone posteriore: il concetto era lo stesso della Chaparral 2J.

Fig. 2 – Il vistoso ventolone della Brabham BT46B (dal sito jalopnik.com).
Purtroppo entrambi i veicoli, sebbene vincenti, ebbero vita breve perché squalificati per eccessiva pericolosità.
Eppure ultimamente, l’ingegnosa trovata è stata nuovamente ripresa su un’auto straordinaria: la Ferrari 599xx (fig. 3). Questo mezzo, vero laboratorio mobile della Ferrari, presenta due aspiratori all’interno di quello che dovrebbe essere il vano portabagagli (fig. 4).

Fig. 3 – Ferrari 599xx (dal sito www.autocar.co.uk).

Fig. 4 – Particolare dei sistemi di aspirazione posti sul retrotreno della Ferrari 599xx (dal sito www.autocar.co.uk).
In questo caso, l’effetto del dispositivo è leggermente diverso rispetto a quello ricercato sulla Chaparral e sulla Brabham. L’aria infatti viene aspirata all’altezza dell’estrattore posteriore al fine di mantenere adeso all’estrattore il flusso d’aria in uscita dal sottoscocca e ridurre la formazione di moti vorticosi, veri nemici della penetrazione aerodinamica. La massa di aria aspirata viene poi rilasciata da aperture situate al posto dei fari posteriori ed in modo tale da non disturbare i flussi aerodinamici. Indirettamente, viene anche aumentata la deportanza grazie all’ottimizzazione del deflusso dell’aria dal fondo della vettura. Risultato finale? Meno resistenza aerodinamica e contemporaneamente maggiore deportanza. Fantastico!
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