La resistenza al rotolamento
Introduzione
La prima legge di Newton dice che “un corpo rimane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme finché non interviene una forza a modificare tale stato”.
Il moto di qualunque corpo è il risultato dell’interazione di forze che agiscono su di esso. Anche il movimento dei nostri veicoli scaturisce dalla combinazione di un certo numero di forze, le quali possono essere raggruppate concettualmente in motrici, se consentono l’avanzamento, e resistenti, se si oppongono al moto del mezzo.
Le forze motrici comprendono naturalmente le forze di trazione scambiate tra gli pneumatici ed il suolo, ma includono anche tutte quelle azioni esterne che causano lo spostamento del veicolo nel senso del moto (il tiro dovuto all’uso di dispositivi di traino o di recupero, la componente gravitazionale sui tratti in discesa, ecc.).
Le forze resistenti sono invece tutte quelle azioni che si oppongono al movimento del veicolo e quindi comprendono: la resistenza al rotolamento degli pneumatici, la resistenza aerodinamica, la resistenza dovuta alla pendenza, gli attriti negli organi di trasmissione, la resistenza causata dall’affondamento delle ruote nel terreno, ecc. Ciascuna di esse agisce con maggiore o minore continuità ed entità in funzione delle condizioni d’impiego, ma tra esse ce ne sono due che risultano sempre presenti durante il movimento di un veicolo: la resistenza aerodinamica e quella al rotolamento. La prima dipende fortemente dalla velocità di avanzamento dell’automezzo (infatti nel fuoristrada è praticamente trascurabile), mentre la seconda agisce sempre.
Per tale motivo, nel presente articolo parleremo proprio della resistenza al rotolamento dello pneumatico, esponendone i meccanismi, i parametri che la influenzano e sfatando anche alcuni falsi miti.
L’argomentazione sarà incentrata sulla parte pneumatico, senza sfociare negli aspetti legati alla cedevolezza del suolo che necessitano di un discorso a parte.

I fenomeni che generano la resistenza al rotolamento
La resistenza al rotolamento è il risultato di tutte le perdite energetiche che si verificano durante il rotolamento di uno pneumatico.
Riferendoci al solo pneumatico e non alla superficie del terreno, queste perdite sono da ricercare fondamentalmente in:
- isteresi dovuta alla natura viscoelastica della gomma che costituisce lo pneumatico;
- attrito generato negli slittamenti tra pneumatico e suolo;
- resistenze di tipo aerodinamico causate dall’aria, sia interna, sia esterna allo pneumatico.
Dei tre fenomeni di cui sopra, quello che fornisce il contributo preponderante è sicuramente il primo. Le perdite per isteresi, infatti, danno un apporto compreso tra l’80 ed il 95% alla resistenza al rotolamento, mentre solo una parte compresa tra il 20 ed il 5% è adducibile agli altri fenomeni [1].
L’isteresi elastica è quel fenomeno che si verifica quando l’energia impiegata per deformare un corpo non viene restituita integralmente.
Se deformo un corpo costituito da materiale perfettamente elastico, la curva tensione (σ) – deformazione (ε) avrà l’andamento di fig. 1: la curva che va dalla condizione A iniziale alla condizione deformata B risulterà completamente sovrapponibile alla curva di ritorno.

Invece, se vado a deformare un corpo fatto di materiale viscoelastico (ad esempio un tassello di gomma), il grafico tensione (σ) – deformazione (ε) avrà l’andamento di fig. 2: le curve di andata e quella di ritorno non seguiranno lo stesso percorso e quindi il corpo non mi restituirà la medesima quantità di energia che ho utilizzato per deformarlo.

Durante il rotolamento di uno pneumatico le perdite per isteresi elastica derivano dai continui cicli deformativi a cui è soggetta la struttura dello pneumatico e si verificano per il 70% in corrispondenza del battistrada, per il 15% a livello del fianco e per il rimanente 15% sul tallone [1] (per una breve descrizione della struttura di uno pneumatico vai al seguente link).
In fig. 3 è riportata un’illustrazione molto schematica di cosa succede ad un pezzetto di battistrada nel corso del suo moto di rotazione.

A causa delle perdite energetiche si crea un’asimmetria nella distribuzione della pressione di contatto dello pneumatico che si traduce in una coppia che si oppone al rotolamento (fig. 4).

Con qualche semplice passaggio matematico si arriva alla conclusione che la resistenza al rotolamento Fr è direttamente proporzionale al carico verticale Q secondo il termine f, detto coefficiente di rotolamento. Per vincere tale resistenza posso applicare una coppia motrice (ruota motrice) o spingere la ruota con una forza orizzontale (ruota libera condotta).

I parametri che influenzano il coefficiente di rotolamento
Sono svariati i parametri che, a seconda delle condizioni di impiego, possono influenzare il coefficiente di rotolamento f : la pressione di gonfiaggio, la temperatura, la velocità di rotazione della ruota, la tipologia di pneumatico, le coppie frenanti o traenti applicate, lo stato di usura del battistrada, le caratteristiche del suolo.
Ad esempio, la dipendenza dalla velocità cambia a seconda della tipologia di pneumatico. I radiali, rispetto agli pneumatici a tele incrociate, oltre ad avere coefficienti di rotolamento più bassi, presentano anche minori aumenti di questi ultimi al crescere della velocità.
Un incremento della pressione di gonfiaggio riduce il coefficiente di rotolamento su terreni compatti poiché dà luogo a minore deformabilità e quindi a minore isteresi elastica. D’altro canto, su suoli cedevoli, maggiori pressioni di gonfiaggio comportano pressioni di contatto più elevate e quindi maggiori affondamenti con conseguente maggior resistenza all’avanzamento.
L’aumento della temperatura dello pneumatico riduce il coefficiente di rotolamento in due modi: da un lato, scalda l’aria all’interno della carcassa aumentando la pressione di gonfiaggio; dall’altro, riduce l’isteresi della gomma.
Come si può immaginare, così come l’irregolarità della superficie del terreno influenza il coefficiente di rotolamento, anche la tipologia di battistrada ha un certo peso sul suo valore.
Queste sono soltanto alcune delle numerose e complesse interazioni che possono, a seconda delle condizioni operative, influire sul coefficiente di rotolamento in maniera più o meno accentuata.
Valori tipici del coefficiente di rotolamento e falsi miti
Molto spesso ci si stupisce nell’osservare veicoli di grande massa trainati da mezzi molto più piccoli e leggeri. In realtà, c’è poco da stupirsi. L’uomo ha inventato la ruota proprio per questo, cioè per ridurre lo sforzo necessario allo spostamento di un carico.
Quando un veicolo effettua un traino, ha, dalla sua parte, il coefficiente di aderenza ruota – terreno, mentre il veicolo trainato oppone una resistenza che dipende dal coefficiente di rotolamento. La questione determinante è che il coefficiente di rotolamento assume normalmente valori che possono essere dieci o anche cento volte inferiori a quelli del coefficiente di aderenza.
In tabella 1 sono riportati i valori tipici del coefficiente di rotolamento per alcune tipologie di superficie [2].

Facciamo un semplice esempio. Prendiamo in considerazione un semirimorchio militare che trasporta un carro armato. Un complesso del genere è caratterizzato da una massa totale a terra di circa 95 tonnellate. Secondo voi, che forza è necessaria per muovere un tale bisonte su asfalto? Per saperlo basta moltiplicare il peso del complesso per il relativo coefficiente di rotolamento.

Prendendo un valore del coefficiente di rotolamento di 0,008 (valore medio tra quelli tipici per gli autocarri), scopriamo che bastano circa 760 kg per muoverne 95000.
In aggiunta, ipotizzando un valore plausibile di 0,8 per il coefficiente di aderenza, giungiamo alla conclusione che l’autoarticolato da 95 tonnellate può essere spostato potenzialmente da un veicolo avente a disposizione un carico verticale totale di soli 950 kg sulle ruote motrici.

Riferimenti
[1] T.J. LaClair, Rolling resistance.
[2] Bosch, Electronic Automotive Handbook.
Commenti recenti