Differenziali autobloccanti meccanici
Principali tipologie di differenziali autobloccanti
I differenziali autobloccanti appartengono alla grande famiglia dei differenziali speciali, o bloccabili. Tale famiglia può essere suddivisa in tre macrocategorie principali:
- differenziali a bloccaggio manuale;
- autobloccanti meccanici (a loro volta suddivisi in dispositivi sensibili alla coppia e dispositivi sensibili alla differenza di velocità);
- autobloccanti a controllo elettronico.
Prima di leggere questo articolo, ti consiglio, se già non l’avessi fatto, di dare un occhiata ai principi di funzionamento del differenziale ordinario ed al concetto di bloccaggio del differenziale che ho trattato in altri articoli del mio sito.
Per iniziare spenderei qualche parola su due grandezze utilizzate per caratterizzare i differenziali bloccabili: il Torque Bias Ratio (TBR) ed il fattore di bloccaggio (b).
Torque Bias Ratio (TBR) e fattore di bloccaggio
Prendiamo in considerazione, per semplicità, un differenziale trasversale. Il TBR è semplicemente il rapporto tra la coppia inviata alla ruota su alta aderenza e quella inviata alla ruota su bassa aderenza.

Questo vuol dire che un differenziale autobloccante con TBR pari a 2 ha la capacità di fornire alla ruota su alta aderenza il doppio della coppia disponibile sulla ruota che si trova su bassa aderenza.
Il fattore di bloccaggio è invece il rapporto tra la differenza delle due coppie in uscita e la coppia totale in ingresso al differenziale. Può essere indicato indifferentemente con scala unitaria (da 0 a 1) o con scala percentuale (da 0% a 100%).

Per intenderci, il fattore di bloccaggio di un differenziale ordinario ideale, cioè privo di attriti interni, è zero perché le due coppie in uscita sono sempre uguali.
Sulla base delle formule di cui sopra, è possibile stabilire una relazione tra TBR e fattore di bloccaggio b:

Differenziali a bloccaggio manuale
Sebbene non rientrino nel gruppo dei differenziali autobloccanti (e il nome stesso lo testimonia), per completezza partirei col fare solo un piccolo cenno ai differenziali a bloccaggio manuale, in quanto rappresentano la più elementare tipologia di differenziali bloccabili.
In effetti, il modo più semplice per bloccare un differenziale consiste nel prevedere un sistema di tipo on/off, attivato manualmente dal conducente, che realizzi il collegamento rigido di due componenti del differenziale (tipicamente uno degli alberi in uscita ed il portatreno).
Uno dei sistemi più comuni prevede l’impiego di un manicotto ad innesto frontale, calettato su uno dei semiassi ed azionato da un apposito comando, meccanico, elettromagnetico o elettropneumatico (fig. 1).

Un dispositivo del genere garantisce un fattore di bloccaggio pari al 100%. Ciò vuol dire che ognuna delle due ruote può ricevere da 0 a tutta la coppia in ingresso al differenziale, a seconda dell’aderenza disponibile.
Questo è un concetto chiave che non mi stancherò mai di ripetere: in un differenziale aperto (open), a meno degli attriti interni, il rapporto tra le coppie inviate agli assi è sempre uguale, indipendentemente dalle condizioni di aderenza. Al contrario, in un differenziale bloccato (locked), la coppia espressa dalle ruote è funzione dell’aderenza.
Differenziali autobloccanti meccanici sensibili alla velocità: differenziali con giunto viscoso.
Tra le situazioni estreme di open e locked si piazzano i cosiddetti differenziali autobloccanti meccanici, suddivisi a loro volta in dispositivi sensibili alla differenza di velocità e dispositivi sensibili alla coppia.
I differenziali autobloccanti meccanici, come suggerisce la denominazione, realizzano un certo fattore di bloccaggio, in maniera automatica, al sussistere di determinate condizioni al contorno.
Quelli sensibili alla differenza di velocità iniziano ad agire quando i due alberi uscenti dal differenziale girano a velocità diverse, mentre quelli sensibili alla coppia agiscono in funzione del valore di coppia in ingresso.
Il fattore di bloccaggio viene realizzato incrementando gli attriti tra i componenti del differenziale, mediante dischi di frizione o mediante soluzioni costruttive particolari. Il più semplice differenziale autobloccante sensibile alla differenza di velocità si ottiene accoppiando un giunto viscoso ad un differenziale open (fig. 2).

Il giunto è costituito da una serie di dischi di frizione immersi in un fluido siliconico. Metà dei dischi è solidale ad uno degli alberi in uscita dal differenziale, mentre l’altra metà può essere solidale o all’altro albero (soluzione shaft-to-shaft) o al portatreno (soluzione shaft-to-cage).
Parlando di un giunto viscoso accoppiato ad un ripartitore centrale, nel momento in cui uno degli assi perde aderenza ed inizia a slittare, la differenza di velocità che si crea tra il portatreno e l’asse in questione dà luogo all’aumento di temperatura del fluido siliconico. Se tale aumento supera una certa soglia, la viscosità del fluido subisce un notevole incremento e tende a frenare il moto relativo dei dischi di frizione (fig. 3 – 4).


Il concetto è equivalente a quello già visto sul differenziale a bloccaggio manuale, solo che in questo caso l’albero ed il portatreno non vengono uniti rigidamente con un innesto, ma vengono frenati l’un l’altro mediante apposite frizioni.
Il vantaggio di un sistema del genere è che il differenziale si comporta come open nel caso in cui la differenza di velocità tra gli alberi uscenti non è elevata (ad esempio in curva).
Gli svantaggi sono essenzialmente i seguenti:
- il bloccaggio del differenziale avviene con un certo ritardo;
- se l’alta temperatura permane per un tempo prolungato si va incontro ad un brusco aumento della viscosità del fluido (fenomeno noto con il nome di humping): tale fenomeno può essere voluto su un ripartitore centrale o su un differenziale posteriore, ma può essere deleterio su un differenziale anteriore, in quanto compromette eccessivamente la capacità sterzante;
- l’aumento dell’attrito interno, e quindi del fattore di bloccaggio, è influenzato anche dalla temperatura esterna;
- in fase di progettazione, occorre prevedere contromisure per evitare l’interferenza del giunto viscoso con l’ABS.
Differenziali autobloccanti meccanici sensibili alla velocità: differenziali precaricati.
Una seconda gamma di differenziali autobloccanti sensibili alla velocità è rappresentata dai cosiddetti differenziali precaricati. In questa tipologia di sistemi, la coppia di attrito interna viene generata per mezzo di una serie di dischi di frizione posti fra i planetari ed il portasatelliti (fig. 5).

Ciascun planetario è spinto sul pacco frizioni dall’azione di alcune molle, pertanto la rotazione relativa tra ciascun semiasse e la scatola del differenziale è ostacolata da una coppia di attrito proporzionale alla forza esercitata dalle molle. Dato che tale forza è costante, la coppia di attrito è anch’essa costante ed ha luogo semplicemente ogniqualvolta che si verifichi una differenza di velocità angolare tra i due semiassi (fig. 6).

Per apprezzare l’effetto che un differenziale precaricato ha sulle forze di trazione trasmissibili a terra, osserviamo il grafico di fig. 7.

La situazione contemplata si riferisce all’assale di un veicolo in cui la massima coppia motrice sviluppabile da ciascuna ruota, per via dell’aderenza, è pari a 100 Nm. Uno pneumatico insiste su una superficie ad alta aderenza (diciamo con coefficiente di attrito pari a 1), mentre l’altro si trova su un terreno di cui immaginiamo di variare l’aderenza al fine di apprezzare qual è l’effetto del differenziale.
Sull’asse delle ascisse abbiamo il coefficiente di aderenza di cui dispone la ruota che si trova sulla superficie ad aderenza variabile, mentre sull’asse delle ordinate troviamo la massima coppia trasmissibile a terra dall’assale (somma delle coppie sviluppabili dai due pneumatici).
La curva rossa rappresenta un differenziale open ideale: è evidente il fatto che la coppia trasmessa dal differenziale allo pneumatico su alta aderenza è esattamente uguale a quella dello pneumatico su bassa aderenza. Ad esempio, se su quest’ultima l’attrito massimo è pari a 0,5, essa potrà sviluppare al massimo 50 Nm, pertanto 50 Nm saranno inviati anche all’altra ruota. Di conseguenza, la coppia motrice massima sviluppabile dall’assale sarà pari a 100 Nm, a fronte dei 200 Nm di cui sarebbe capace se entrambi gli pneumatici avessero piena disponibilità di aderenza.
Osserviamo ora la curva verde, caratteristica di un differenziale autobloccante precaricato. Notiamo subito che, anche nel caso in cui uno degli pneumatici fosse sollevato da terra (coefficiente di aderenza pari a zero), l’assale sarebbe comunque in grado di sviluppare una coppia motrice, seppur minima, dovuta proprio al precarico delle molle interne al differenziale. Come ho detto in precedenza, il valore della coppia di attrito sviluppata da questa tipologia di differenziale è costante, pertanto la curva verde del grafico (differenziale precaricato) è traslata in alto rispetto alla curva rossa (open) di una quantità fissa, pari al valore del precarico (nel caso specifico 20 Nm).
Il vantaggio di un differenziale del genere è che la coppia di attrito interno è presente anche se uno dei due alberi uscenti ha coppia resistente nulla.
Gli svantaggi sono essenzialmente i seguenti:
- la modalità di funzionamento del differenziale interferisce con l’ABS;
- al contrario di quanto avviene nel giunto viscoso, la coppia di attrito interno è presente anche per ridotte differenze di velocità di rotazione dei due semiassi.
Differenziali autobloccanti meccanici sensibili alla coppia
Passiamo ora al secondo gruppo di differenziali autobloccanti meccanici, cioè quello dei sistemi sensibili alla coppia. Tra questi è d’uopo citare il differenziale noto come ZF o Salisbury illustrato in fig. 8.

Come risulta evidente dalla figura, gli assi dei satelliti sono a contatto con due semi-gusci in grado di scorrere in direzione dei semiassi. Tra i semi-gusci ed i solari sono presenti dei dischi di frizione calettati alternativamente sull’uno e sull’altro componente. Nel momento in cui si sviluppa una coppia sul portasatelliti, gli alberini dei satelliti esercitano una forza sui due semi-gusci. Vista l’inclinazione delle superfici di contatto, si genera una componente di forza assiale che tende ad allontanare i due semi-gusci spingendoli contro i dischi di frizione e dando vita ad una coppia di attrito.
Mentre nel caso dei differenziali sensibili alla velocità, la coppia di attrito è dipendente dalla differenza di velocità angolare degli alberi in uscita, in questo caso la coppia di attrito è proporzionale alla coppia fornita al differenziale.
In fig. 9 possiamo constatare la differenza di comportamento di un differenziale autobloccante sensibile alla coppia rispetto ad un open nella stessa situazione già illustrata per la precedente fig. 7.

La curva in viola si riferisce ad un differenziale autobloccante con un Torque Bias Ratio (TBR) di 5:1. Notiamo subito che l’effetto di un tale sistema è quello di aumentare l’inclinazione della retta rossa del differenziale open.
Per chiarire meglio come funziona questa tipologia di autobloccante facciamo un esempio. Consideriamo il caso in cui lo pneumatico su bassa aderenza disponga di un coefficiente di attrito pari a 0,1. Dalla fig. 9 vediamo che, a fronte di una coppia potenziale di 200 Nm sviluppabile dall’assale, la massima coppia motrice trasmissibile al suolo con un open ideale sarebbe pari a 20 Nm (10 Nm per ogni pneumatico). Invece, spostandoci sulla curva viola, notiamo che la massima coppia motrice sale a 60 Nm, di cui 10 Nm sviluppati dallo pneumatico su bassa aderenza e 50 Nm sviluppati dall’altro. Infatti, con un TBR di 5:1, il differenziale è capace di inviare allo pneumatico in aderenza un valore di coppia fino a 5 volte maggiore di quello disponibile sulla ruota a bassa aderenza.
Un secondo tipo di differenziale autobloccante sensibile alla coppia è il famoso Torsen (l’acronimo stesso Torque Sensing, richiama il funzionamento del sistema).
Il Torsen ha sostanzialmente lo stesso effetto dello ZF visto poc’anzi, ma realizza l’autobloccaggio attraverso un principio meccanico differente. La coppia di attrito non viene sviluppata mediante dischi di frizione, ma grazie alle particolari caratteristiche costruttive degli ingranaggi (fig. 10). In sostanza, senza scendere nei dettagli fisici del meccanismo, l’azione autobloccante è garantita dall’attrito che nasce tra i denti in ingranamento.

I vantaggi di un differenziale autobloccante sensibile alla coppia sono i seguenti:
- la coppia di attrito interno è funzione della coppia in ingresso al differenziale, quindi in curva il differenziale si comporta come un open fino a che non riceve coppia;
- è possibile realizzare un differenziale con differente TBR per le fasi di accelerazione e rilascio: basta realizzare superfici di contatto con inclinazioni differenziate (vedi fig. 11);
- l’azione autobloccante ha un’interferenza nulla o comunque ridotta con l’ABS;
- elevata affidabilità e ridotta manutenzione per quanto riguarda il Torsen.

Lo svantaggio principale dei differenziali autobloccanti sensibili alla coppia è che, nel caso in cui un semiasse sia privo di coppia resistente (ad esempio, ruota sollevata da terra), l’autobloccante non è in grado di sviluppare una coppia di attrito e quindi non c’è trasmissione di forza di trazione al suolo.
A tal proposito è interessante dare un’occhiata al video di una vecchia Audi con differenziale centrale di tipo Torsen (link). Sollevando una ruota posteriore dell’auto e dando gas gradualmente si vede che il veicolo non riesce a scendere dal cric. Il disimpegno avviene solo accelerando in maniera più vigorosa oppure azionando il freno di stazionamento. Il fatto che l’auto scenda dal cric dando gas in modo più brusco è dovuto al fatto che il termine inerziale cresce per via dell’aumento dell’accelerazione angolare della ruota.
Per ovviare a questo svantaggio, sono stati realizzati differenziali autobloccanti sensibili alla coppia e precaricati: un esempio ne è il Torsen tipo T-2R, schematizzato in fig. 12. Un meccanismo di tal genere unisce gli effetti di un precaricato a quelli di un torque sensing.

Confronti
Per confrontare gli effetti delle varie soluzioni trattate, in fig. 13 ho riportato lo stesso grafico visto nelle precedenti fig. 7 e 9 con una panoramica sulle varie tipologie di differenziali.
La situazione prospettata è sempre la stessa:
- differenziale trasversale con coppia massima in ingresso pari a 200 Nm che viene ripartita equamente tra i due alberi;
- si ipotizzi che, nelle migliori condizioni di aderenza, ciascuno pneumatico sia in grado di trasmettere a terra 100 Nm;
- sull’asse orizzontale viene fatto variare il coefficiente di aderenza di uno dei due pneumatici e si osserva come si modifica il valore di massima coppia trasmissibile globalmente a terra.

Osservando il grafico, maggiore è l’area sottesa da ciascuna linea e maggiore è la capacità di trazione.
I due estremi, come potevamo immaginare, sono:
- il differenziale open ideale(curva rossa), in cui la massima coppia trasmissibile è vincolata allo pneumatico su terreno a ridotta aderenza;
- il differenziale totalmente bloccato (curva blu), in cui lo pneumatico su alta aderenza continua a trasmettere tutta la coppia che il terreno gli consente (100 Nm), anche qualora l’altro pneumatico abbia aderenza nulla.
Come si può notare, tra le suddette condizioni estreme si piazzano tutti gli altri tipi di differenziali autobloccanti meccanici con risultati più o meno performanti a seconda della tipologia.
Nel prossimo articolo destinato agli organi della trasmissione parlerò dei differenziali a controllo elettronico.
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