Larghezza del battistrada: perché incrementarla su vetture ad alte prestazioni?
Premessa.
A seguito delle ragionevoli richieste di alcuni lettori del blog, ho scritto questo articolo al fine di esprimere, in maniera più completa, ciò che ho illustrato nel video Perché le vetture sportive utilizzano pneumatici larghi?
Premetto che nell’articolo descriverò i principali aspetti che giustificano l’impiego di pneumatici con elevata larghezza del battistrada su vetture ad alte prestazioni, prescindendo da altre caratteristiche distintive, quali la mescola o la tassellatura.
La larghezza del battistrada fa parte di quella cerchia di attributi che influiscono in maniera rilevante sulle prestazioni di uno pneumatico.
Nello specifico, dal confronto di pneumatici di differenti larghezze, possiamo individuare tre caratteristiche principali (legate alla larghezza del battistrada) che ne influenzano le prestazioni:
- forma dell’orma di contatto;
- distribuzione ed entità della pressione di contatto;
- rapporto tra la spalla e la larghezza del battistrada.
Forma dell’orma di contatto.
All’aumentare della larghezza dello pneumatico assistiamo ad un allungamento della sua impronta a terra in direzione laterale e ad un contemporaneo schiacciamento della stessa in direzione longitudinale (fig. 1). Questa variazione di forma porta ad un incremento della rigidezza di deriva.

Fig. 1 – All’aumentare della larghezza del battistrada si assiste alla variazione di forma dell’impronta a terra dello pneumatico.
Ma cos’è la rigidezza di deriva? Per capirlo dobbiamo introdurre una grandezza nota con il nome di angolo di deriva.
Per quanto il coefficiente di aderenza possa essere elevato, un autoveicolo che percorre una curva non si muove sui binari ed i suoi pneumatici sono soggetti ad una certa deriva rispetto alla traiettoria imposta. In rettilineo e su strada piana, a meno di fenomeni di deriva legati all’assetto dello pneumatico (convergenza e camber), la velocità del centro ruota giace sul piano longitudinale della ruota (fig. 2).

Fig. 2 – Pneumatico in marcia rettilinea: la velocità del centro ruota giace sul piano longitudinale dello pneumatico.
Nel momento in cui si sviluppano forze laterali che deformano il battistrada, ad esempio in curva, ma anche in presenza di pendenze trasversali, si assiste alla nascita di un angolo tra la velocità del centro ruota e l’asse longitudinale dello pneumatico: tale angolo prende il nome di angolo di deriva (fig. 3).

Fig. 3 – Pneumatico in curva: la velocità del centro ruota forma un angolo di deriva con il piano longitudinale dello pneumatico.
La rigidezza di deriva (che possiamo indicare con Cα) non è altro che la derivata della forza laterale rispetto a questo angolo. In maniera più semplice, possiamo dire che la rigidezza di deriva ci dice quanto varia la forza laterale (espressa dallo pneumatico) al variare dell’angolo di deriva (fig. 4).

Fig. 4 – La rigidezza di deriva dello pneumatico è individuata dalla tangente alla curva che mette in relazione forza laterale e angolo di deriva. Cα0 è la rigidezza di deriva per piccoli angoli di deriva. Invece, CαA è la rigidezza di deriva in corrispondenza di un generico punto A.
Pertanto, uno pneumatico dotato di elevata rigidezza di deriva sarà in grado di sviluppare forze laterali notevoli anche a ridotti valori dell’angolo di deriva (fig. 5).

Fig. 5 – Le curve mostrano l’andamento della forza laterale per pneumatici con diverse rigidezze di deriva. Lo pneumatico più rigido alla deriva, caratterizzato dalla curva rossa, sviluppa forze laterali più elevate a parità di angoli di deriva.
Chiusa questa breve parentesi, torniamo al discorso sulla larghezza del battistrada. A questo punto possiamo costruire il nostro filo logico:
maggiore larghezza del battistrada = impronta a terra più larga = maggiore rigidezza di deriva = angoli di deriva più piccoli, a parità di forze laterali = maggiore reattività e precisione nel seguire le traiettorie imposte.
L’aumento di rigidezza di deriva conseguente all’estensione dell’impronta in direzione laterale si può capire facilmente se paragoniamo l’orma di contatto dello pneumatico ad una trave appoggiata.
Una trave sottile e lunga, soggetta all’azione di un carico verticale, subisce una flessione che la porta ad assumere una certa freccia. Una trave corta e tozza, soggetta allo stesso carico, subisce una flessione inferiore ed assume una freccia inferiore (fig. 6).

Fig. 6 – Più una trave è corta e spessa e minore sarà la sua flessione se sottoposta ad un carico verticale.
Allo stesso modo, il battistrada di uno pneumatico largo soggetto ad un carico laterale si deforma meno e dà luogo ad angoli di deriva più piccoli (fig. 7).

Fig. 7 – Analogia tra l’impronta a terra di uno pneumatico ed una trave appoggiata.
Distribuzione ed entità della pressione di contatto.
Lo pneumatico è costituito da una struttura più o meno flessibile (clicca qui per maggiori dettagli) all’interno della quale è presente una massa di aria compressa.
Nel momento in cui lo pneumatico viene sottoposto ad un carico verticale, esso s’interfaccia con il suolo attraverso un’area di contatto, nota come orma di contatto o impronta a terra.
Se lo pneumatico si comportasse come una membrana infinitamente sottile piena di aria compressa, la pressione di contatto coinciderebbe esattamente con la pressione dell’aria all’interno della membrana. In tal caso, ogni aumento del carico verticale darebbe luogo ad un pari incremento dell’area d’impronta, mentre il valore della pressione di contatto resterebbe invariato (fig. 8).

Fig. 8 – Membrana infinitamente sottile piena di aria compressa. Schiacciando la palla contro una superficie rigida, aumenta l’area dell’impronta, ma la pressione di contatto resta invariata.
Al contrario, se lo pneumatico fosse un corpo perfettamente rigido, un incremento del carico verticale agente su di esso porterebbe ad un corrispondente aumento della pressione di contatto, mentre l’impronta a terra non subirebbe variazioni (fig. 9).

Fig. 9 – Corpo infinitamente rigido soggetto ad un carico verticale. All’aumentare del carico incrementa la pressione di contatto, ma l’area dell’impronta non cambia.
Lo pneumatico si pone a metà strada tra i due casi estremi visti sopra. Infatti, la pressione che insiste nell’area di contatto di uno pneumatico reale è sicuramente figlia della pressione di gonfiaggio, ma risente anche di contributi derivanti dalla struttura dello pneumatico (fig. 10).

Fig. 10 – All’aumentare del carico verticale sullo pneumatico si assiste ad un incremento dell’area d’impronta, accompagnato da un aumento e da una diversa distribuzione della pressione di contatto.
Per via di questo comportamento, se aumentiamo il carico verticale agente su uno pneumatico, da un lato assistiamo ad un incremento dell’area dell’impronta a terra, dall’altro notiamo una maggiore disuniformità nella distribuzione delle pressioni ed un innalzamento del loro valor medio. Tutto ciò porta ad una riduzione del coefficiente di aderenza (fig. 11).

Fig. 11 – Tipico andamento qualitativo della massima forza laterale sviluppabile da uno pneumatico in funzione del carico verticale.
Vediamo ora la questione da un altro punto di vista. Prendiamo uno pneumatico di larghezza b1 e sottoponiamolo ad un carico verticale Q: esso subirà uno schiacciamento verticale pari a s1. Consideriamo poi un secondo pneumatico di larghezza b2 maggiore di b1 e sottoponiamolo al medesimo carico Q: a parità di pressione di gonfiaggio, esso subirà uno schiacciamento s2 minore di s1. Infatti, la maggiore larghezza gli consente di avere un’area equivalente a quella del primo pneumatico, ma con un ridotto impegno di superficie in senso longitudinale (fig. 12).

Fig. 12 – Partendo da sinistra, il secondo pneumatico è più rigido del primo, ha la stessa pressione di gonfiaggio ed è soggetto allo stesso carico verticale. Dato che esso è più largo, per avere la stessa area d’impronta deve impegnare meno battistrada in direzione longitudinale e questo vuol dire che si schiaccia meno. Per portare i due pneumatici allo stesso schiacciamento devo ridurre la pressione di gonfiaggio di quello più rigido: questo mi porta ad avere una maggiore area d’impronta (situazione contornata in rosso).
Pertanto, al fine di portare i due pneumatici ad avere il medesimo schiacciamento, riduciamo la pressione di gonfiaggio di quello più largo. Il risultato finale sarà che lo pneumatico più largo avrà un’impronta a terra di area maggiore ed una pressione di contatto inferiore con un conseguente aumento del coefficiente di aderenza (fig. 13).

Fig. 13 – Differenza tra i coefficienti di aderenza di pneumatici di differenti larghezze (valori ricavati sperimentalmente).
Per quanto sopra, il filo logico del discorso è il seguente:
maggiore larghezza del battistrada = minore pressione di gonfiaggio per lo stesso carico verticale = area d’impronta maggiore e pressioni di contatto minori = aumento del coefficiente di aderenza.
Il fatto di poter adottare pressioni di gonfiaggio minori per pneumatici più larghi è dimostrato anche dall’espressione della rigidezza verticale estrapolata da Rhine:
dove
kz : rigidezza verticale [kg/mm];
p : pressione di gonfiaggio [kPa];
W : larghezza dell’impronta a terra [mm];
OD : diametro esterno [mm].
Facciamo un esempio. Prendiamo due pneumatici aventi diametro esterno pari a 634 mm, di cui uno con larghezza dell’impronta a terra pari a 170 mm e l’altro 230 mm. Se gonfiamo lo pneumatico più stretto ad una pressione di 2 bar, possiamo gonfiare quello più largo ad una pressione di circa 1,7 bar conservando la medesima rigidezza verticale.
Guardiamo ora la questione da un ulteriore punto di vista. Se manteniamo la stessa pressione di gonfiaggio per entrambi gli pneumatici, avremo che lo pneumatico più largo risulterà più rigido allo schiacciamento. Questa è una ulteriore considerazione che giustifica l’impiego di pneumatici larghi su vetture ad elevate prestazioni: la maggiore larghezza del battistrada, a parità di pressione di gonfiaggio, garantisce una rigidezza verticale superiore e quindi una maggiore capacità di sostenere gli alti carichi verticali sviluppati dalla deportanza dei profili aerodinamici ad elevate velocità.
La riduzione della pressione dell’impronta a terra, ottenuta grazie ad una maggiore larghezza del battistrada, oltre a migliorare il coefficiente di aderenza, dà luogo anche ad una diminuzione dell’usura del battistrada. Naturalmente, come ho specificato a premessa dell’articolo, il discorso vale a parità di altre caratteristiche. È noto, ad esempio, che i larghi pneumatici per vetture ad alte prestazioni, di norma hanno battistrada costituiti da mescole più morbide e quindi più soggetti ad asportazione di materiale. In questo caso, la maggiore larghezza del battistrada aiuta a bilanciare, anche se in parte, l’effetto dovuto all’impiego di mescole più morbide.
Rapporto tra la spalla e la larghezza del battistrada.
Si può dimostrare analiticamente che il rapporto tra la spalla e la larghezza del battistrada di uno pneumatico influisce direttamente sulla sua rigidezza laterale (fig. 14). In particolare, una riduzione del citato rapporto (detto anche aspect ratio) produce un incremento di rigidezza laterale.

Fig. 14 – Sezione di uno pneumatico.
b è la larghezza del battistrada, mentre hs è l’altezza della spalla.
Prendiamo due pneumatici con la spalla della medesima altezza hs, ma con differente larghezza del battistrada. Nello specifico, lo pneumatico 2 ha una larghezza b2 maggiore di quella dello pneumatico 1 (che chiamiamo b1).
Il rapporto hs/b2 risulta minore di hs/b1 e, per quanto detto all’inizio del paragrafo, lo pneumatico 2 è caratterizzato da una rigidezza laterale superiore. Ciò comporta, a sua volta, una riduzione della lunghezza di rilassamento dello pneumatico (la lunghezza di rilassamento può essere vista come un ritardo di risposta dello pneumatico).
A questo punto, possiamo enunciare un nuovo filo logico:
maggiore larghezza del battistrada = minore aspect ratio = maggiore rigidezza laterale = minore lunghezza di rilassamento = maggiore reattività agli input di sterzo.
In aggiunta, se oltre ad avere un battistrada più largo, lo pneumatico presenta anche una spalla ridotta, esso offre la possibilità di alloggiare dischi freno di diametro superiore.
Conclusioni
In conclusione possiamo raggruppare i principali vantaggi che giustificano l’utilizzo di pneumatici larghi su vetture ad elevate prestazioni:
- maggiore reattività agli input di sterzo e maggiore precisione nel seguire le traiettorie imposte (grazie a valori superiori di rigidezza di deriva e rigidezza laterale);
- maggiore coefficiente di aderenza, a parità di carico verticale (grazie alla possibilità di adottare pressioni di gonfiaggio più basse);
- se si utilizza la stessa pressione di gonfiaggio di uno pneumatico più stretto, maggiore capacità di sostenere carichi verticali (grazie alla maggiore rigidezza verticale);
- minore usura, a parità di mescola (adottando pressioni di gonfiaggio ridotte).
sono sempre affascinato dalle tue spiegazioni fisiche 😉
solo che mi perdo quando scrivi
– “pressioni di contatto minori = aumento del coefficiente di aderenza”.
Aumentare il carico come si fa per esempio con gli alettoni, non serve d aumentarla l’aderenza ?
e quando scrivi
– “Se gonfiamo lo pneumatico più stretto ad una pressione di 2 bar, possiamo gonfiare quello più largo ad una pressione di circa 1,7 bar conservando la medesima rigidezza verticale”
… io mi aspettavo di leggere qualcosa come <>
grazie
e
… io mi aspettavo di leggere qualcosa come ” possiamo gonfiare quello più largo ad una pressione di circa 2,5 bar conservando la medesima rigidezza verticale”
OK, alla seconda domanda mi sono ritrovato da solo 🙂
Buongiorno Marco. Innanzitutto ti ringrazio per le domande che hai fatto perché mi aiutano a spiegare meglio i contenuti dell’articolo.
Questione 1: maggiore carico verticale = minore coefficiente di aderenza.
La forza laterale sviluppata dallo pneumatico è il prodotto tra il coefficiente di aderenza e la forza verticale. Un aumento della forza verticale dà luogo ad un aumento della forza laterale non direttamente proporzionale perché in contemporanea si riduce il coefficiente di aderenza. In soldoni, se raddoppio il carico verticale, la forza laterale sviluppabile sarà maggiore, ma non doppia (se leggi l’articolo sulla carreggiata allargata potrai trovare le stesse argomentazioni).
Questione 2: rigidezza verticale.
Osservando la formula di Rhine puoi notare che la rigidezza verticale incrementa all’aumentare di pressione di gonfiaggio, larghezza e diametro dello pneumatico. Questo vuol dire che se ho uno pneumatico più largo posso gonfiarlo ad una pressione inferiore mantenendo la stessa rigidezza verticale.
Spero di aver chiarito meglio l’argomento.
sulla questione 1
però una cosa è dire che l’incremento di aderenza non è lineare col carico (ma sempre di incremento parliamo);
altra è dire che maggiore carico verticale = minore coefficiente di aderenza .
Comunque grazie, ora capisco cosa intendi ed anche perché mi si creava la stessa confusione anche nell’articolo sulla carreggiata allargata.
Aumentando il carico verticale la forza trasmissibile dallo pneumatico non aumenta linearmente proprio perché il coefficiente di aderenza si riduce.
eccellente!